Installazione di videocamere sul luogo di lavoro: procedure operative
L’autorizzazione per videosorveglianza sul luogo di lavoro, così come stabilito dall’art. 4, Legge n. 300/1970, consiste in un passaggio obbligatorio per tutti i datori di lavoro che decidono di installare impianti audiovisivi e altri strumenti, dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro, tutela del patrimonio aziendale.
In questo contributo analizziamo i passaggi operativi per ottenere l’autorizzazione e gestire la quotidianità in ambiente di lavoro, con uno sguardo anche agli adempimenti in materia di privacy e alla luce delle recenti indicazioni fornite dall’Ispettorato nazionale del lavoro.
Le previsioni normative in tema di videosorveglianza
Le disposizioni normative in tema di videosorveglianza hanno subito importanti modifiche nel corso degli anni, dovute all’evoluzione – anche tecnologica – del mercato del lavoro.
L’attuale versione dell’art. 4, Legge n. 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori), come modificato dall’art. 23, D.Lgs. n. 151/2015, attuativo del Jobs Act, stabilisce che «Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse Province della stessa Regione ovvero in più Regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con più unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro».
Da ciò deriva che, per installare correttamente un impianto di videosorveglianza, il datore di lavoro deve preventivamente provvedere alla stipula di un accordo con le parti sociali; alternativamente, la procedura di autorizzazione deve essere condivisa con la sede territorialmente competente dell’Ispettorato del lavoro, che dovrà obbligatoriamente rispondere in maniera positiva o negativa alla richiesta (non è previsto il silenzio assenso).
Le modalità di richiesta dell’autorizzazione
Per poter ottenere l’autorizzazione all’installazione dell’impianto di videosorveglianza, il datore di lavoro deve rispettare alcuni passaggi obbligatori che consistono in 3 passaggi ben definiti: come primo passaggio, è necessario procedere con la compilazione del Modello di istanza di autorizzazione per impianti di videosorveglianza, localizzazione satellitare, altri strumenti di controllo ai sensi dell’art. 4, Legge n. 300/1970; a tale Modello di richiesta dovrà, quindi, essere allegata una relazione che identifichi le esigenze di carattere organizzativo, produttivo, di sicurezza o tutela del patrimonio aziendale alla base dell’istanza e che descriva le caratteristiche tecniche delle telecamere installate, nonché le modalità di funzionamento dispositivo di registrazione, il numero e il posizionamento dei monitor, la fascia oraria di funzionamento dell’impianto, i tempi di conservazione delle immagini (e le motivazioni per l’eventuale registrazione eccedente le 24/48 ore) e le specifiche di funzionamento dell’impianto di videosorveglianza.
La relazione tecnica si configura come un passaggio fondamentale per fornire all’ITL competente tutte le informazioni utili al rilascio (o meno) dell’autorizzazione.
Come terzo passaggio, il datore di lavoro dovrà allegare 2 marche da bollo da 16 euro, di cui una per l’istanza e una per il rilascio del provvedimento, da consegnare a mano o a mezzo posta.
Giova ricordare, come indicato nelle note in calce al Modello di richiesta, che la richiesta di autorizzazione può essere completata esclusivamente tramite via telematica, brevi manu o per raccomandata: nel caso di consegna brevi manu o mediante posta raccomandata viene richiesta anche la consegna di copia del documento di identità del datore di lavoro.
Dall’analisi di quanto sopra emerge, quindi, che l’utilizzo della PEC non è contemplato come modalità di presentazione della richiesta; tuttavia, è bene ricordare come l’AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) riconosca alla Posta elettronica certificata lo stesso valore legale di una raccomandata tradizionale con avviso di ricevimento. Pertanto, la richiesta di autorizzazione preventiva all’uso della videosorveglianza in ambiente di lavoro può essere assolta anche mediante tale strumento. In questo caso, la domanda potrà essere caratterizzata da 2 differenti percorsi di firma, a seconda che la documentazione venga inviata dalla PEC del datore di lavoro o da quella del professionista incaricato alla pratica.
Se la richiesta viene inviata dalla PEC del datore di lavoro, il documento – che dovrà essere allegato alla PEC – può contenere la firma autografa dello stesso: la firma, così apposta, ha pieno valore legale, confermato dal fatto che l’invio tramite PEC permette di accertare l’identità di un soggetto, di dare prova dell’invio da un soggetto (certo) a un altro soggetto (certo) di un determinato contenuto (testo, scansione o altro).
Nel caso in cui, invece, sia il professionista a inviare la richiesta, sarà necessario aggiungere copia di una delega firmata al professionista dal datore di lavoro, mediante firma digitale o firma autografa (a cui allegare – in questo caso – documento di identità del datore di lavoro interessato dalla pratica).
Da ultimo, giova ricordare che in caso di invio della pratica tramite PEC sarà necessario trasmettere, unitamente alla presentazione dell’istanza, l’apposita “dichiarazione sostitutiva per marca da bollo” presente sul sito.
Come comportarsi in caso di prima assunzione successiva l’installazione dell’impianto di videosorveglianza
Come già anticipato nei paragrafi precedenti, la normativa in tema di videosorveglianza prevede che il datore di lavoro debba ottenere l’autorizzazione preventivamente rispetto l’installazione dell’impianto; tuttavia, è frequente il caso in cui, per esigenze di sicurezza e/o tutela del patrimonio, l’imprenditore abbia installato impianti audiovisivi adibiti alla sorveglianza dei locali, prima di procedere con la prima assunzione: in questo caso, la successiva assunzione di un lavoratore comporta il problema della collocazione temporale della richiesta di autorizzazione ad attività di videosorveglianza, che, di fatto, risulta essere già operativa nei locali aziendali.
Sul tema è intervenuto, con documento del 14 aprile 2023, l’INL: ricordando come le previsioni dell’art. 4, Legge n. 300/1970, si applichino solo alle imprese in cui sono presenti lavoratori subordinati (escludendo, quindi, ulteriori categorie di soggetti quali soci, collaboratori e tirocinanti), l’INL affronta concretamente 2 casi operativi, che presentiamo mediante lo schema di seguito riportato:
Caso 1 |
Caso 2 |
Costituzione di una nuova azienda che, al momento della presentazione dell’istanza, non ha in forza lavoratori, in quanto deve ancora completare i lavori nella sede in cui dovrà essere installato l’impianto, ma che prevede di avvalersi di personale non appena avviata l’attività | Esercizio dell’attività già operativo, con impianto legittimamente installato e perfettamente funzionante in assenza di lavoratori, in cui è necessario procedere ad assunzioni di personale |
È necessario presentare l’istanza per l’autorizzazione, che deve sempre precedere l’installazione dell’impianto, indicando nel Modello di istanza il numero dei lavoratori che risulteranno in forza all’avvio dell’attività | Pur avendo l’azienda già installato e messo in funzione l’impianto di videosorveglianza, seppure in assenza di lavoratori, potrà presentare istanza in un momento successivo ma dovrà produrre contestualmente attestazione che lo stesso impianto sarà disattivato non appena il personale sarà adibito al lavoro e che sarà messo nuovamente in funzione soltanto dopo l’eventuale provvedimento autorizzativo dell’Ispettorato del lavoro |
Giova ricordare che, anche nel caso in cui si presentino le 2 condizioni di cui sopra, sarà onere del datore di lavoro ottenere il provvedimento di autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro territorialmente competente; l’autorizzazione sarà subordinata alla compilazione della richiesta, come sopra descritto; anche in questa particolare condizione, il silenzio dell’Ispettorato non potrà essere inteso come assenso alle attività di videosorveglianza.
Come comportarsi in caso di imprese multi-sede: chiarimenti operativi dall’INL
Con la nota n. 4757/2024, la Direzione Centrale Vigilanza e Sicurezza del Lavoro dell’INL fornisce un importante contributo ermeneutico in materia di controllo a distanza dei lavoratori, offrendo un’interpretazione funzionale dell’art. 4, Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), con specifico riferimento alle modalità di individuazione dell’ufficio territorialmente competente per il rilascio del provvedimento autorizzativo, nelle ipotesi di imprese operanti su più sedi dislocate in Province diverse, ma ricadenti all’interno di un’unica competenza ispettiva.
La nota n. 4757/2024 interviene per dirimere una questione concreta di crescente rilievo pratico: come debba essere individuato, nei casi in cui un’impresa sia strutturata con più unità produttive collocate in diverse Province, l’ufficio dell’Ispettorato territorialmente competente a ricevere e istruire la domanda di autorizzazione, in assenza di accordo sindacale.
La Direzione Centrale chiarisce, richiamando espressamente la precedente circolare INL n. 2572/2023, che le imprese che operano su più sedi ubicate nell’ambito territoriale di un medesimo Ispettorato – anche se formalmente distribuite su più Province – possono presentare un’unica istanza autorizzativa, purché ricorrano i presupposti sostanziali richiesti dalla norma:
- sussistenza delle medesime “ragioni legittimanti” (esigenze organizzative, produttive, sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale);
- utilizzo del medesimo sistema tecnologico di controllo (es. stessa piattaforma software, stessi dispositivi, medesimo trattamento dei dati).
Ne consegue che l’impresa potrà inoltrare la richiesta presso una qualsiasi delle sedi afferenti all’ufficio competente su tutte le unità produttive coinvolte, ottenendo un provvedimento autorizzativo unico, valido per l’intero perimetro aziendale interessato dalla misura.
Particolarmente significativo è il passaggio interpretativo in cui l’Ispettorato chiarisce che per «ambito di competenza della medesima sede territoriale» deve intendersi non la singola Provincia, bensì l’intero territorio ricadente sotto la giurisdizione amministrativa del medesimo ufficio territoriale dell’INL, anche laddove esso comprenda più Province.
Questa impostazione, sorretta da considerazioni di ordine sistematico e funzionale, consente di superare una lettura eccessivamente frammentata del criterio territoriale, in favore di una gestione più snella e coordinata dei procedimenti amministrativi, soprattutto in un contesto in cui la distribuzione geografica degli uffici dell’Ispettorato è stata oggetto di razionalizzazione, con frequenti accorpamenti e ridefinizioni delle competenze territoriali.
Il principio di semplificazione amministrativa, sancito all’art. 1, Legge n. 241/1990, e la valorizzazione dell’unitarietà dell’intervento ispettivo, appaiono qui come i 2 assi portanti di una prassi che agevola il corretto esercizio della vigilanza e garantisce all’impresa un iter meno oneroso e più prevedibile.
Sul piano pratico, il chiarimento ha ricadute dirette sul modo in cui è necessario predisporre la documentazione tecnica e giuridica a supporto dell’istanza. In particolare:
− l’istanza unica dovrà esplicitare l’identità delle esigenze organizzative e la piena omogeneità degli impianti o strumenti installati nelle diverse sedi;
− dovrà, altresì, risultare evidente la riferibilità di tali strumenti a un sistema unificato e centralizzato di gestione e monitoraggio;
− l’istruttoria dovrà contemplare la verifica delle condizioni sostanziali e formali, tra cui l’informativa privacy, le misure di sicurezza, i tempi di conservazione dei dati, e il rispetto dei princìpi di proporzionalità, finalità e minimizzazione imposti dal GDPR.
È evidente che una simile impostazione riduce la frammentazione delle procedure autorizzative e limita il rischio di interpretazioni disomogenee tra Uffici provinciali differenti. Inoltre, favorisce una compliance più solida e coerente con i dettami del Regolamento UE 2016/679, in quanto consente di riferire le valutazioni di impatto e le misure tecniche-organizzative a un unico trattamento, anziché a tanti trattamenti locali e differenziati.
Comunicazione al lavoratore: l’informativa sulle modalità di gestione della videosorveglianza
Il secondo requisito obbligatorio per poter adottare sistemi di videosorveglianza in ambiente di lavoro consiste nell’informare i lavoratori sulle modalità di funzionamento dei sistemi stessi.
In questa particolare condizione, non viene richiesto al lavoratore il consenso ex art. 7, Regolamento UE 2016/679, ma si ottempera agli obblighi normativi con la semplice informativa, che – per definizione – non prevede l’accettazione del lavoratore.
Tale passaggio è stato confermato dalla Corte di Cassazione, Sezione III penale, n. 38882/2018, la quale si è pronunciata come di seguito: «In conclusione, il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma (scritta od orale) prestato, non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice, e dunque la doglianza della ricorrente sul punto si ritiene infondata, non assumendo alcun valore esimente la mancata opposizione dei lavoratori (ritenuta peraltro dalla ricorrente, in via di interpretazione ipotetica, consenso implicito) all’istallazione delle videocamere di cui all’imputazione».
Giova ricordare che tale informativa, oltre ad assolvere a un obbligo normativo previsto dallo Statuto dei lavoratori, assolve anche a un adempimento obbligatorio in termini di tutela del dato del lavoratore (ovvero del soggetto interessato al trattamento del dato).
In relazione al tema della privacy, risulta anche di fondamentale importanza l’adozione da parte del titolare di misure tecniche e organizzative, in conformità ai principi di accountability e di sicurezza del trattamento. Di seguito vengono esaminate le procedure da adottare, in affiancamento all’informativa da condividere con il lavoratore:
Adozione di misure tecnico-organizzative |
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Individuare i profili soggettivi coinvolti nel trattamento | Definire se il trattamento sia effettuato dal singolo titolare o, congiuntamente, da 2 o più contitolari |
Individuare i responsabili esterni del trattamento del dato | È prevista dall’art. 28, GDPR, l’individuazione dei responsabili che intervengono nel trattamento (es. installatore o manutentore dell’impianto o società di vigilanza, che trattino dati per conto del titolare) |
Formazione degli incaricati al trattamento del dato | Formare gli incaricati interni al trattamento del dato che sono autorizzati alla gestione del dato |
Redigere la DPIA | Si tratta della valutazione di impatto sulla protezione dei dati, nel rispetto dei principi previsti dall’art. 35, par. 1, GDPR.
Secondo le Linee guida EDPB i titolari, nell’effettuazione della valutazione di impatto, devono analizzare: a) responsabilità della gestione e del funzionamento del sistema di videosorveglianza; b) finalità e ambito di applicazione del progetto di videosorveglianza; c) utilizzo appropriato e vietato (dove e quando la videosorveglianza è consentita e dove e quando non lo è: ad esempio, uso di telecamere nascoste e registrazione audio oltre che video); d) misure di trasparenza; e) modalità e durata delle registrazioni video; f) chi deve seguire una formazione specifica e quando; g) chi ha accesso alle registrazioni video e per quali scopi; h) procedure operative (ad esempio, da chi e da dove viene monitorata la videosorveglianza, cosa fare in caso di un problema di violazione dei dati); i) procedure per i soggetti esterni per richiedere le videoregistrazioni e le procedure per respingere o accogliere tali richieste |
Adozione di misure tecniche di sicurezza | Ovvero:
a) sicurezza fisica: è la protezione primaria che si può garantire ai dati personali e consiste nell’implementazione di misure anti-intrusive o di prevenzione da eventi di tipo calamitoso, a tutela della riservatezza, dell’integrità e della disponibilità dei dati; b) sicurezza dei sistemi: comprende tutte le misure, di tipo logico, a protezione dell’infrastruttura hardware e software dei sistemi di videosorveglianza (ad esempio cifratura dei dati archiviati, firewall, antivirus, backup, ecc.); c) controllo degli accessi: consiste nell’adozione di misure atte a garantire che soltanto alle persone autorizzate sia consentito l’accesso, fisico e logico, al sistema e ai dati (ad esempio posizionamento dei monitor, procedure di autenticazione e autorizzazione utenti, registrazione degli accessi, ecc.) |
A conclusione di ciò, e considerata l’importanza di proteggere i dati registrati, si rende necessaria la l’adozione da parte del titolare di misure tecniche e organizzative, in conformità ai principi di accountability, ex art. 24, e di sicurezza del trattamento, ex art. 32, GDPR.
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