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Chi Siamo
Operiamo nel campo della consulenza aziendale, fiscale e tributaria.
Assistiamo l'azienda in tutte le fasi del suo ciclo di vita, dalla costituzione all’eventuale estinzione.
Affidabilità, professionalità e capacità di innovazione garantiscono ai nostri clienti una consulenza di elevata qualità e una risposta sempre adeguata alle mutevoli esigenze del mercato.
Oltre all'offerta tradizionale, offriamo servizi online, allo scopo di abbattere distanze geografiche, per un servizio veloce ed efficiente
SERVIZI
CONSULENZA AZIENDALE
Offriamo assistenza in tutte le fasi della vita di una società, dallo sviluppo del progetto imprenditoriale che porta alla scelta del modello societario da adottare, passando per l'implementazione, la verifica e la valutazione dell'intero sistema di controllo aziendale, fino alla eventuale cessazione della società.
Attività principali:
Costituzione Societa'
Forniamo la consulenza e il supporto necessario per le varie fasi della costituzione della società.
Corporate governance
Affianchiamo l’azienda nella verifica, valutazione e implementazione dell'intero sistema di direzione e controllo aziendale, con particolare attenzione alla valutazione delle tipologie di rischio connesso ad ogni processo aziendale.
Operazioni straordinarie
Interveniamo nella pianificazione, valutazione ed attuazione di operazioni societarie straordinarie come fusioni, scissioni, conferimenti, trasformazoni, acquisizioni e cessioni di imprese e di complessi aziendali, nonchè nelle situazioni di crisi d'impresa.
Consulenza
Forniamo supporto per orientare al meglio le scelte, minimizzando il rischio, ottimizzando le risorse disponibili e facilitando il raggiungimento degli obiettivi prefissati, massimizzando così la probabilità di successo.
DICHIARAZIONE MODELLI 730
Assistenza per compilazione e invio telematico
Prestiamo consulenza ed assistenza per compilazione e invio telematico della dichiarazione dei redditi all'Amministrazione Finanziaria.
La dichiarazione dei redditi viene presentata per mezzo dell’ apposita modulistica:
Modello Unico PF (riservato alle persone fisiche), Modello Unico SP (riservato alle società di persone ed equiparate), Modello Unico SC (riservato alle società di capitali, enti commerciali ed equiparati), Modello Unico ENC (riservato agli enti non commerciali ed equiparati).
Utenze domestiche e di Impresa
Economia domestica e d'Impresa, per la massimizzazione del rapporto costi/benefici
Salve,
se vuoi verificare il costo delle tue utenze domestiche o aziendali rispetto al PUN (Prezzo Unico Nazionale) parametro che indica il costo della corrente elettrica scambiato alla Borsa Elettrica Italiana, inviami la tua bolletta (luce, gas) e senza impegno ti faremo sapere di quanto si discosta.
GESTIONE DEL PERSONALE
Amministrazione dei Dipendenti
Forniamo consulenza ed assistenza nella gestione ed amministrazione del personale dipendente.
Attività principali:
Gestione del Personale
Assunzione del personale con invio on line al centro per l'impiego, nonche' ai rispettivi centri per l'impiego di altre province, come previsto dalle leggi in materia.
Collocamento obbligatorio disabili con relative procedure.
Elaborazione cedolini paga , contributi mensili, Modelli F24, dati relativi ai conteggi del trattamento di fine rapporto, delle pensioni complementari e conseguente trasmissione ai relativi Fondi. Modello 770 con invio telematico.
Contabilità
Gestione della contabilità aziendale inerente il personale dipendente, con elaborazioni di prospetti contabili e statistici per rilevamento del costo del personale con suddivisione in centri di costo e qualifiche - budget e contabilità industriale.
Business Intelligence e attività strategiche
Analisi e statistiche per la quantificazione, anche a livello previsionale, del costo del lavoro per la predisposizione dei budget aziendali e del controllo di gestione.
Assistenza nella pianificazione ed attuazione delle operazioni di riduzione, riconversione, riorganizzazione del personale, nella stipula e nell'applicazione dei contratti a livello provinciale, aziendale ed individuale, nella gestione del fine rapporto di lavoro e del contenzioso
Altro
Assolvimento di tutti gli obblighi del datore di lavoro quale sostituto d'imposta
Consulenza in materia di lavoro subordinato, infortuni sul lavoro e malattie professionali, lavoratori autonomi
Trattative sindacali, lavoro minorile
Rapporti generali con gli Enti circa eventuali iscrizioni, modifiche e quant'altro necessita la gestione aziendale
Assistenza nelle vertenze sindacali, individuali e collettive, nei rapporti coi Sindacati dei lavoratori e nelle controversie di lavoro
Tenuta dei libri paga e matricola
Ricerca e selezione del personale
Assistenza al datore di lavoro in sede di visita ispettiva
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Ultime NEWS
Nel corso degli anni, l’Agenzia delle entrate spesso è intervenuta per chiarire cosa si debba intendere per categoria, ai fini della qualificazione della misura come welfare, così da accedere al regime fiscale agevolato previsto dall’articolo 51, comma 2, Tuir. Introduzione I primi 2 commi dell’articolo 51, Tuir, delineano i fondamenti della...
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Leggi tuttoNel corso degli anni, l’Agenzia delle entrate spesso è intervenuta per chiarire cosa si debba intendere per categoria, ai fini della qualificazione della misura come welfare, così da accedere al regime fiscale agevolato previsto dall’articolo 51, comma 2, Tuir.
Introduzione
I primi 2 commi dell’articolo 51, Tuir, delineano i fondamenti della disciplina fiscale del reddito da lavoro dipendente: se il comma 1 scolpisce il principio della sua onnicomprensività, essendo costituito “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, nel comma 2 vengono previste una serie di esclusioni inquadrabili – eccetto la lettera a), relativa ai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori – nel c.d. welfare aziendale.
Con tale concetto si intende un insieme di benefici e prestazioni, generalmente a carattere non monetario, con l’eccezione di ben delimitate forme di rimborso, erogate a favore dei dipendenti.
A partire dal 2016, grazie a quanto previsto dall’articolo 1, comma 190, L. 208/2015, il paniere delle forme di welfare dettagliate dal comma 2 è stato notevolmente ampliato, consentendo così ai datori di lavoro di poter realizzare le forme più rispondenti agli obiettivi e al contesto aziendale.
Oltre al rispetto delle condizioni per la qualificazione come welfare degli strumenti previste, nelle varie lettere di cui è composto il comma 2, Tuir – ad esempio, il rimborso monetario è previsto in ben delimitati casi – è necessario ricordare che l’esclusione dalla qualificazione come retribuzione dev’essere giustificata anche dal fatto che il piano welfare si rivolge alla generalità̀ dei dipendenti o a categorie di dipendenti. Anche quando non espressamente previsto, come nel caso dei ticket restaurant, è stato più volte ribadito (sia dalla circolare n. 326/E/1997, sia dalla più recente circolare n. 5/E/2016), come necessario il rispetto di tale requisito relativo ai destinatari.
Poi, i concreti beneficiari possono non coincidere con i destinatari complessivi: si pensi a un piano che preveda il rimborso dei mezzi pubblici ai lavoratori, a tutti i lavoratori dell’azienda, che decidono di non utilizzare l’auto privata. Se poi un dipendente, per qualunque ragione, dalla più futile alla più delicata, decidesse di continuare a usare l’auto, non beneficerebbe del welfare, pur rimanendone un destinatario.
L’Agenzia delle entrate, nei chiarimenti forniti dopo le riforme operate nel 2016 e 2017, ha mantenuti inalterati tali principi, con l’evidente preoccupazione di individuare criteri oggettivi che determinino una collettività di lavoratori e, quindi, una categoria. Diamo evidentemente per scontato che se, utilizzando criteri oggettivi, arrivo a un solo lavoratore, non verrebbe realizzato il concetto di categoria.
Con la circolare n. 28/E/2016 l’Agenzia ricorda, infatti, che “la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente è subordinata alla condizione che i benefit siano offerti alla generalità̀ dei dipendenti o a categorie di dipendenti”.
Pertanto, l’esclusione dal reddito dipendente del welfare è data dal prodotto tra una o più misure specificatamente regolate dall’articolo 51, comma 2, Tuir, e la generalità o categorie di dipendenti. Per quanto riguarda le misure, si evidenzia soltanto che, essendo eccezioni all’ordinaria imponibilità, non possono essere oggetto di interpretazioni estensive per analogia.
Molto più complessa è la corretta ricostruzione del concetto di “categoria”, priva di una specifica definizione nel contesto fiscale: non deve trarre in inganno la presenza nel lessico giuslavoristico della definizione civilistica contenuta nell’articolo 2095, cod. civ. (categorie dei prestatori di lavoro – I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai), ai fini fiscali non vi è alcun dettaglio nella norma volto a coglierne l’estensione.
Nella circolare n. 326/E/1997 si scrisse che l’espressione categoria di dipendenti si riferisce “a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dirigenti, o tutti quelli che hanno un certo livello o una certa qualifica)”; con la circolare n. 28/2016 si è giunti a una minima raffinazione del concetto, inteso come “gruppo omogeneo di dipendenti a prescindere dalla circostanza che in concreto soltanto alcuni di essi ne usufruiscano”.
Solo con la circolare n. 5/E/2018, l’Agenzia delle entrate ha diffuso chiarimenti maggiormente articolati, con l’evidente intenzione di evitare comportamenti che, grazie all’estensione del paniere di welfare escluso da tassazione, realizzato con la riforma del 2016/2017, di fatto, mimetizzando in welfare dazioni dal carattere retributivo, determinassero sottrazioni di imponibile.
Tale approccio è evidente da quanto vergato nella circolare, dove si attacca il problema non con una definizione diretta, ma evidenziando quello che non è categoria (o generalità): il riconoscimento di somme o i servizi non deve essere rivolto ad personam ovvero non deve costituire “vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori”.
Il negativo della definizione non aggiunge nulla, il punto centrale è, come detto, identificare i requisiti del denominatore che generi una categoria legittima.
Aspettativa che, purtroppo, rimane inevasa anche nei passaggi successivi della circolare: dopo un’ulteriore definizione in negativo – “non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, etc.)” –, si precisa, se così si può dire, che per categoria possono intendersi “tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.)”, basta che non “siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale da imposte”.
In assenza di chiarimenti dettagliati, l’attenzione degli operatori si è rivolta alle risposte fornite dall’Agenzia delle entrate a seguito di istanze di interpello, così da poter avere parametri utili per definire parametri oggettivi per arrivare a una collettività di lavoratori e che non possa essere una delimitata sommatoria di trattamenti retributivi ad personam.
Montagne russe interpretative dell’Agenzia delle entrate
Provando a sistematizzare le risposte fornite, tenuto conto degli indirizzi generali sopra delineati, non si può che partire dai casi più lineari, dove le categorie sono state individuate da condizioni di natura organizzativa aziendale, dando per scontato che debbano essere “oggettive”.
Con la risoluzione n. 55/E/2020, l’oggetto dell’istanza all’Agenzia delle entrate riguardò un piano welfare a carattere premiale e incentivante per l’accrescimento della motivazione dei propri dipendenti, rivolto ai lavoratori appartenenti all’area aziendale “Service” e a quelli il cui luogo di lavoro è identificato in “Headquarter“, con almeno 2 anni di anzianità di servizio in azienda, alla data del 31 dicembre 2018, e con un orario di lavoro giornaliero di almeno 6 ore.
Considerando che le condizioni utilizzate non circoscrivevano i destinatari dell’offerta ad alcuni e ben individuati lavoratori, si è ritenuto che il piano welfare rispettasse il presupposto richiesto dall’articolo 51, comma 2, Tuir, dal momento che esso è rivolto a 2 “categorie di dipendenti” legittime.
In tale risposta, l’aspetto più rilevante nella creazione della categoria, che in primo luogo è determinata da 2 strutture aziendali, è che poi viene dettagliata su parametri riguardanti i lavoratori, come l’anzianità di servizio e l’orario di lavoro: anche tali elementi, chiaramente oggettivi e necessariamente portanti, qualificanti la categoria sono riferiti ad aspetti relativi ai singoli rapporti di lavoro.
Quando, poi, sono stati oggetto di valutazione piani welfare che coinvolgono gli amministratori, emerge un atteggiamento restrittivo dell’Agenzia delle entrate, chiaramente giustificato anche dalle ragioni che sottendono al welfare, che non può essere una mera forma di riconoscimento di retribuzioni esenti.
Sono condivisibili gli esiti della richiesta di interpello n. 10/2019, dove fu chiesta all’Agenzia delle entrate la valutazione di un piano welfare di una struttura alberghiera, in cui erano state individuate 2 categorie:
- “addetti alla sala”;
- “manager”, composta dall’amministratore unico e dal direttore di sala.
Nel primo caso l’Agenzia delle entrate considera realizzata la condizione della categoria, non così nel secondo: la categoria “manager” comprendeva un lavoratore e l’amministratore unico, dubitandosi che tale soggetto potesse essere destinatario della regolamentazione prevista dall’articolo 51, comma 2, Tuir[1], di fatto si veniva a sgretolare la tenuta della categoria. Si tenga poi conto che le misure di welfare identificate dal datore di lavoro erano le seguenti:
- check up cardiaco per gli addetti alla sala;
- frequenza corso privato di lingua per i figli e assistenza domiciliare ai familiari anziani per i “manager”.
In sintesi, possono ritenersi esclusi dal welfare gli amministratori unici e, di conseguenza, come nel caso di specie, dove la categoria comprendeva un solo altro lavoratore, anche in riferimento a quest’ultimo non opera l’esenzione da imponibilità. Se il piano welfare, ragionando per assurdo, fosse stato rivolto a tutti i dipendenti, compreso l’amministratore unico, pur escludendo quest’ultimo dalla disciplina dell’articolo 51, comma 2, Tuir, rimarrebbe comunque realizzato il principio della generalità dei dipendenti (oppure, se la categoria avesse riguardato un contesto dove i direttivi non erano 2, ma 10, si sarebbe comunque determinata su un parametro oggettivo/collettivo).
Sempre sulla questione degli amministratori, si richiama anche l’interpello n. 522/E/2019. Nel caso proposto all’Agenzia delle entrate, il piano era rivolto a 2 categorie di beneficiari, di cui una composta dai 3 amministratori del CdA, di cui uno solo percepiva compensi in denaro.
Anche in questo caso, il giudizio è stato negativo, in quanto secondo l’Agenzia delle entrate: “non si è realizzato il requisito della categoria omogenea di dipendenti dal momento che dei tre amministratori solo uno è retribuito per l’incarico dalla società”.
Inoltre, tenuto conto che i benefit erano corrisposti agli amministratori senza compenso, si è ritenuto che gli stessi assolvessero a una funzione essenzialmente remunerativa e dovessero essere assoggettati a tassazione.
Al di là della risposta, che sembra più una conseguenza del fatto che, in assenza di alcun compenso per 2 amministratori su 3, il welfare proposto è stato inquadrato in un’ottica e in una funzione retributiva, non convince del tutto la risposta fornita, in quanto il denominatore utilizzato (tutti gli amministratori[2]) sembrerebbe realizzare i requisiti in precedenza indicati per realizzare la categoria nella sua accezione fiscale. La questione, piuttosto, riguarda l’amministratore senza compenso, dove di fatto rischia di diventare retribuzione (si ritiene che sia necessario tener conto anche degli strumenti previsti: un conto sono i check-up medici, un conto sono rimborsi particolarmente consistenti di spese scolastiche o di assistenza).
L’individuazione di parametri oggettivi per la definizione della categoria diviene assai complicata quando riguarda esclusivamente la sfera del lavoratore.
Innanzitutto, merita attenzione la risposta a interpello n. 273/E/2019 per le particolarità con cui è stata costruita la categoria di dipendenti.
Mediante accordo aziendale, era stato previsto, in favore di uno specifico gruppo “individuato sulla base di criteri oggettivi funzionali”, un percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale (“Percorso occupabilità”) volto a migliorare la quantità e la qualità delle competenze, conoscenze e capacità, al fine di potenziare l’occupabilità futura di ciascuno, sia in termini di percorso di carriera all’interno della società sia in previsione di eventuali futuri diversi impieghi professionali. Oltre a quanto sopra, ai soli lavoratori inseriti nel percorso occupabilità era stato assegnato un “credito welfare“, non liquidabile né convertibile in trattamento di altro genere.
La categoria di dipendenti era stata “clusterizzata sulla base di criteri oggettivi funzionali” nel seguente modo. Volendo individuare i dipendenti considerabili a maggior rischio di non impiegabilità nonché in situazione di maggior fragilità sociale, fu definito un sistema di pesatura che assegnava, a una serie di condizioni oggettive funzionali predeterminate, un punteggio crescente in funzione del rischio di scarsa impiegabilità e fragilità sociale, conseguente alla sussistenza della condizione stessa in capo al singolo individuo.
Le caratteristiche considerate sono sia individuali (genere, età, cittadinanza, titolo di studio, stato di disoccupazione), sia riferite al territorio in cui risiede la persona e, quindi, alla dinamicità del mercato del lavoro locale (tasso di occupazione, incidenza delle famiglie a bassa intensità di lavoro, densità imprenditoriale).
Interessante sottolineare che, per i dipendenti esclusi dal welfare aziendale perché esclusi da tale graduatoria, era previsto un premio in denaro.
A ogni modo, l’Agenzia delle entrate ha considerato realizzato il requisito della categoria, in quanto la valutazione delle prerogative a cui era subordinata è “legata a diversi fattori, soggettivi e oggettivi (riferiti al territorio ove risiede il lavoratore e quindi al livello di occupazione locale), e che ad ognuno di essi è riconosciuta una diversa valenza, rapportata ad una scala numerica di valutazione”.
È chiaro, quindi, che caratteristiche misurabili in modo oggettivo, anche se non attinenti direttamente al rapporto di lavoro e riferibili in via esclusiva alla sfera del lavoratore, sono state considerate un corretto denominatore della categoria e, pertanto, è stata riconosciuta l’esclusione da imponibilità del credito welfare ai sensi dell’articolo 51, comma 2, Tuir.
Purtroppo, i principi affermati nella risposta, in tutta evidenza, si pongono in netto contrasto con quanto affermato recentemente dall’Agenzia delle entrate, con la ormai nota risposta a interpello n. 57/E/2024, dove la categoria individuata dall’azienda istante era rappresentata dalle lavoratrici madri “al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità”.
Sicuramente discutibile era la modalità di determinazione del credito welfare, calcolato come la differenza tra l’indennità del congedo parentale e la retribuzione ordinaria, ma non si vede perché la categoria delle lavoratrici madri non possa essere, anche ai fini fiscali, una categoria.
La maternità, oltre a rappresentare un momento e un evento in cui maggiormente necessarie appaiono le politiche di welfare aziendale, in grado di favorire la conciliazione vita-lavoro, è assolutamente una condizione oggettiva riguardante la sfera del lavoratore.
Nonostante tali evidenze, l’Agenzia delle entrate, in modo assolutamente sbrigativo per la portata del passaggio, afferma che “non si ritiene, invece, possibile individuare una “categoria di dipendenti” sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente”: perché il denominatore “maternità” non va bene e titoli di studio e residenza del lavoratore sì? E se il welfare riguardasse il rimborso dell’abbonamento dei mezzi di trasporto, chi mai ne beneficerà?
Le risposte a interpello, nascendo da casi concreti, potrebbero generare il rischio che vengano distillati principi smisurati da regolamenti o accordi – se parliamo di welfare – assolutamente “sgarrupati”: non possiamo sapere se, effettivamente, negli accordi valutati dall’Agenzia delle entrate ci fosse una finalità ad personam, se il regolamento, per durata – è evidente che se si riferisce a un periodo limitato si cristallizzano i beneficiari – o per popolazione aziendale – dove le ridotte dimensioni potrebbero delineare di fatto un ad personam – fosse cucito su misura (come quando si contratta un netto e bisogna arrivare a un lordo) e l’Agenzia delle entrate abbia colto qualche intento fraudolento volto a realizzare una sommatoria di ad personam.
Sarebbe sicuramente opportuno un intervento di prassi a livello di circolare, dove si possa scendere nel dettaglio delle problematiche sopra evidenziate.
[1] Affinché un rapporto di lavoro si configuri, ai fini fiscali, quale rapporto di lavoro dipendente è necessario che la prestazione di lavoro sia svolta, con qualsiasi qualifica, “alle dipendenze e sotto la direzione di altri“.
[2] Si sottolinea come il piano welfare si rivolgeva, in parallelo, alla generalità dei lavoratori dipendenti, parte che, viceversa, è stata considerata meritevole dell’applicazione del regime previsto dall’articolo 51, comma 2, Tuir.
Riforma lavoro sportivo: pubblicato documento esplicativo del Ministero del Lavoro
Pubblicato un documento esplicativo da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con indicazione dei punti cardine della riforma del lavoro sportivo operata dal D.Lgs. 36/2021.
Il documento passa in rassegna i vari aspetti e gli ambiti che sono stati interessati dalla riforma in trattazione, a partire dalla definizione di lavoratore sportivo e dall’ambito di applicazione del dettato normativo del D.Lgs. 36/2021, con indicazione sia delle analogie, sia delle tra settore professionistico e dilettantistico, così come tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Sono poi passate in rassegna le peculiarità fiscali per il comparto dilettantistico, nonché la gamma dei rapporti che possono rientrare tra quelli regolamentabili con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, sia in ordine a lavoratori sportivi in senso stretto, sia rispetto alle mansioni amministrativo – gestionali.
Sono poi riepilogati gli obblighi di natura assicurativa, anche rispetto alla platea interessata, le tutele sociali, previdenziali ed assistenziali garantite, nonché gli adempimenti in capo ai committenti (sia in fase di instaurazione del rapporto, sia in corso di suo svolgimento, con particolare riferimento in tal caso alla tenuta del LUL) nel settore dilettantistico, con puntuale specificazione di ciò che può essere effettuato mediante il ricorso al Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche.
Chiude il documento una sezione FAQ con domande e risposte.
Revisione termini di presentazione dichiarazioni:
La Circolare Agenzia Entrate n. 8/E 2024 interviene anche in materia di revisione dei termini di presentazione delle dichiarazioni fiscali, coerentemente con quanto previsto dall’articolo 11 del D.Lgs. n. 1/2024, nonché successivamente anche dall’articolo 38, D.Lgs. 13/2024.
La Circolare n. 8/E 2024 riepiloga il calendario fiscale scaturente dalla rimodulazione così realizzata (ed inerente agli obblighi relativi all’anno fiscale 2023 scadenti nel 2024, così come di quelli afferenti all’anno fiscale 2024 da assolvere nel corso del 2025), andando a evidenziare i principi sottesi a tale revisione.
Con tale rimodulazione si vuole tra l’altro agevolare ed anticipare il controllo e la verifica delle dichiarazioni trasmesse, l’erogazione degli eventuali rimborsi, la predisposizione delle denunce precompilate.
Novità per soggetti con P.IVA e sostituti:
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 8/E dell’11 aprile 2024, fornisce chiarimenti anche in merito alle novità in tema di dichiarativi fiscali riguardanti i lavoratori autonomi titolari di partita IVA esercenti arti e professioni, nonché nei confronti dei sostituti di imposta, introdotte dal D.Lgs. 1/2024.
Relativamente ai soggetti titolari di partita IVA, viene anzitutto prevista la progressiva eliminazione dei modelli di dichiarazione per l’Irap e l’Iva, laddove i dati contenuti non siano rilevanti ai fini della liquidazione dell’imposta e siano già in possesso dell’Amministrazione finanziaria.
Viene, poi prevista (in via per ora sperimentale relativamente all’anno di presentazione 2024, anche coerentemente con la risoluzione 13/E del 4 marzo 2024) l’introduzione della dichiarazione precompilata anche nei confronti dei soggetti titolari di partita IVA esercenti arti e professioni.
Relativamente agli adempimenti che riguardano i sostituti, viene eliminato l’obbligo di presentazione (ed annesse consegna e presentazione telematica) del modello CU nei confronti dei percipienti soggetti al regime forfettario, ovvero a quello di vantaggio per l’imprenditoria giovanile.
Viene, poi, prevista una prima semplificazione degli obblighi dichiarativi dei sostituti in merito al 770 con la previsione di indicare (con modalità individuate a seguito di apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, e limitatamente alle aziende che presentano un numero complessivo di dipendenti non superiore a cinque) l’importo delle ritenute e delle trattenute operate, gli eventuali importi a credito, nonché altri elementi informativi.
Novità per persone fisiche senza P.IVA:
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 8/E dell’11 aprile 2024, fornisce i primi chiarimenti (utili in particolare per l’attività degli uffici) in merito alle novità in tema di dichiarativi fiscali introdotte dal D.Lgs. 1/2024.
La circolare è suddivisa in paragrafi tematici, distinguendo tra le novità che impattano in merito alla sfera dichiarativa nei confronti delle persone fisiche prive di partita IVA, dei titolari di partita IVA e dei sostituti d’imposta, ed infine rispetto alla revisione dei termini di presentazione delle dichiarazioni.
Per quanto concerne le persone fisiche, tra le novità principali l’implementazione di un’area riservata, accessibile ai contribuenti, popolata da dati utili ai fini della compilazione della denuncia precompilata; confermando le citate informazioni, le stesse saranno a quel punto travasate nel modello dichiarativo.
Si registra, poi, un’estensione della platea dei soggetti che potenzialmente possono predisporre la dichiarazione precompilata, che con la stagione 2024 sarà accessibile a tutti coloro che non posseggono una partita IVA.
Con cadenza annuale, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate provvederà a fornire indicazione delle tipologie reddituali che consentono la presentazione della dichiarazione precompilata, nel più ampio contesto di agevolare la semplificazione dei modelli dichiarativi.
Viene, poi, estesa la facoltà di presentazione della dichiarazione 730 anche da parte di coloro che sono privi di un sostituto d’imposta, potendo andare a regolamentare direttamente il rapporto debitorio, ovvero creditorio.
La pubblicazione del D.L. 19/2024 ha avuto un forte impatto su tutte quelle forme di irregolarità che si registrano, pressoché quotidianamente, nel mondo del lavoro. Il Legislatore, nel complesso di un progetto volto a favorire e incentivare la regolarità, la sicurezza e l’etica del lavoro, è intervenuto sulla maxisanzione per l’occupazione di lavoratori irregolari (o in nero), prevedendo un inasprimento delle somme a essa collegate.
Questa disposizione si colloca, tuttavia, in un contesto più ampio, che dispone – direttamente e indirettamente – numerose sanzioni collegate all’occupazione irregolare di lavoratori.
La maxisanzione per lavoro nero: evoluzione storica e stato attuale
La cosiddetta maxi sanzione è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’articolo 3, D.L. 12/2002, convertito, con modificazioni, dalla L. 73/2002, che prevede, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore privato (con la sola esclusione del datore di lavoro domestico) l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (c.d. maxi sanzione), modulata per fasce definite in funzione della durata dell’illecito.
Il lavoro irregolare è quello prestato dal lavoratore subordinato senza la preventiva trasmissione della comunicazione obbligatoria di assunzione di cui all’articolo 9-bis, D.L. 510/1996, convertito dalla L. 608/1996, fatti salvi i casi di urgenza connessi a esigenze produttive di cui all’articolo 9-bis, comma 2-bis, le cui comunicazioni possono essere effettuate entro 5 giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro, fermo restando l’obbligo di comunicare entro il giorno antecedente l’inizio della prestazione lavorativa le generalità del lavoratore e del datore di lavoro, nonché la data di inizio dell’attività.
Sono fatti salvi, inoltre, i casi in cui il datore di lavoro non possa procedere alla comunicazione obbligatoria per chiusura, anche per ferie, dello studio di consulenza o associazione di categoria cui il datore di lavoro ha affidato la gestione degli adempimenti in materia di lavoro, nonché i casi in cui, a causa dell’imprevedibilità dell’evento e dell’improcrastinabilità dell’assunzione, non avrebbe potuto prevederla ed è, quindi, impossibilitato a conoscere le generalità del personale da assumere.
In linea generale, “il rapporto di lavoro che può integrare l’applicazione della maxi-sanzione deve presentare i requisiti propri della subordinazione di cui all’articolo 2094 del c.c.” e, conseguentemente, ne sono esclusi i rapporti in ambito societario e familiare, se mancanti del requisito della subordinazione.
L’illecito da cui deriva l’applicazione della maxisanzione può essere contestato da tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza, con la competenza degli ITL alla ricezione del rapporto.
Le sanzioni definite in tal contesto, hanno, poi, subito una variazione con la L. 145/2018, che ha disposto il raddoppio della maggiorazione in caso di recidiva, ovvero nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, nei 3 anni precedenti, fosse stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti.
Con l’introduzione dei precetti del D.L. 19/2024 assistiamo a un ulteriore aumento della sanzione, senza alcuna modifica al meccanismo di quantificazione; a oggi l’apparato sanzionatorio (che, ricordiamo, è in vigore già dallo scorso 2 marzo), prevede un importo di sanzione:
- da 1.950 a 11.700 euro per ogni lavoratore, sino a 30 giorni di lavoro (recidiva 2.400-14.400 euro);
- da 3.900 a 23.400 euro per ogni lavoratore, da 31 a 60 giorni di lavoro (recidiva 4.800-28.800 euro);
- da 7.800 a 46.800 euro per ogni lavoratore, oltre 60 giorni di lavoro (recidiva 9.600-57.600 euro).
Pertanto, nella peggiore delle ipotesi, il datore di lavoro che occupa personale irregolare può essere investito da una sanzione di 57.600 euro.
Giova ricordare che, sul punto, varranno comunque le indicazioni fornite dall’INL con vademecum sull’applicazione della maxisanzione per lavoro sommerso del 22 luglio 2022, secondo cui il sistema di recidiva non opera nelle ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta a norma dell’articolo 16, L. 689/1981, a cui va equiparato il pagamento in ragione dell’articolo 13, D.Lgs. 124/2004.
A tale importo, così come sopra definito, si sommano ulteriori sanzioni (tra cui alcune a carattere anche penale), che sono frutto di disposizioni normative succedutesi negli anni e che sono applicabili, a pieno titolo, in caso di occupazione di lavoratori irregolari.
Lavoro nero e sicurezza sul lavoro: sospensione dell’attività imprenditoriale
Da primo, rileva come l’occupazione di lavoratori in nero sia strettamente connessa all’istituto della sospensione dell’attività imprenditoriale, regolamentato dall’articolo 14, D.Lgs. 81/2008 (più volte rivisto e aggiornato da documenti sia di norma sia di prassi).
L’ultima modifica importante apportata dal Legislatore è data dalle disposizioni della L. 215/2021, di conversione del D.L. 146/2021: nella sua nuova versione l’istituto della sospensione dell’attività imprenditoriale ha assunto un nuovo aspetto, maggiormente oggettivo rispetto alle condizioni normative precedenti, che lasciavano alla discrezionalità del personale ispettivo la scelta di sospendere o meno l’attività imprenditoriale.
Il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale è un atto emesso dall’organo di vigilanza, qualora nell’atto ispettivo vengano accertate condizioni di lavoro irregolare e/o gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; una prima condizione che comporta l’adozione del provvedimento di sospensione si verifica qualora nell’impresa almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell’accesso ispettivo, in nero, ossia “senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro” (in precedenza il riferimento era il 20%).
Come specifica l’INL con la circolare n. 3/2021, la “regolarizzazione dei lavoratori nel corso dell’accesso è del tutto ininfluente e pertanto il provvedimento andrà comunque adottato”.
La sospensione per lavoro irregolare coinvolge sia i lavoratori subordinati sia parasubordinati, che possono, pertanto, essere ricompresi nel computo della verifica del raggiungimento, o meno, della percentuale del 10%, ovvero:
- i lavoratori per i quali non è stata effettuata la comunicazione preventiva e i lavoratori autonomi occasionali in assenza delle relative condizioni richieste dalla normativa;
- i beneficiari di tirocinio formativo e di orientamento (o di esperienze assimilate) per i quali non è stata effettuata la relativa comunicazione preventiva UniLav.
Giova inoltre ricordare che l’articolo 2, D.Lgs. 81/2008, definisce lavoratore “la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”:
su questo si fonda la base di computo per calcolare il 10% dei lavoratori irregolari, come indica l’INL nella circolare n. 3/2021, che finisce per comprendere altre tipologie di soggetti, quali, ad esempio, i collaboratori familiari anche impiegati per periodi inferiori alle 10 giornate di lavoro, nonché i soci lavoratori ai quali non spetta l’amministrazione o la gestione della società.
Nonostante la norma in commento preveda espressamente il divieto di sospendere l’attività imprenditoriale qualora il lavoratore irregolare sia anche l’unico occupato dal datore di lavoro, in realtà anche la microimpresa che occupa un lavoratore in nero può incorrere nella sospensione dell’attività imprenditoriale: questo è ciò che emerge dalla nota INL n. 162/2023, in risposta a un dubbio interpretativo avanzato dal personale ispettivo in relazione ai contenuti dell’articolo 14, D.Lgs. 81/2008.
I contenuti della nota richiamata hanno chiarito un ulteriore aspetto applicativo del provvedimento; in tale contesto il Legislatore, abbassando la soglia percentuale di lavoro nero che comporta la sospensione imprenditoriale (da 20% a 10% del personale occupato), ha precisato che tale sanzione non è applicabile all’imprenditore che occupa il solo lavoratore in nero, derogando di fatto alle disposizioni generali.
Tuttavia, al di fuori di questo contesto, la nuova versione dell’articolo 14, D.Lgs. 81/2008, ha introdotto ulteriori inadempimenti che comportano la sospensione dell’attività imprenditoriale, fra cui (a titolo esemplificativo e non esaustivo):
- la mancata redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR),
- la mancata istituzione del servizio di prevenzione e protezione.
Ed è proprio in questo contesto che si collocano i contenuti della nota n. 162/2023 dell’INL: ove la microimpresa, oltre a occupare un solo lavoratore – non regolarmente comunicato agli organi preposti – non sia in possesso del DVR o del servizio di prevenzione e protezione scatta la sospensione dell’attività.
Pertanto, l’occupazione del solo lavoratore “in nero” è solo un aspetto di una condizione di potenziale insicurezza ben più ampia: questo implica che la sospensione potrebbe scattare nel momento in cui il datore di lavoro è privo degli ulteriori adempimenti sanzionati in tal senso.
ESEMPIO
A titolo esemplificativo, una società composta da almeno 2 soci per cui sono stati gestiti correttamente gli adempimenti obbligatori in materia di salute e sicurezza non subirà sospensione, mentre un’azienda individuale – non tenuta ad alcun adempimento – si troverà con la saracinesca temporaneamente abbassata.
Sanzioni indirette: lavoro nero e mancata predisposizione del LUL
Occupare un lavoratore “in nero” comporta ulteriori inadempimenti, che, seppur non direttamente collegati alla maxisanzione per lavoro nero e all’eventuale sospensione dell’attività, sono altrettanto impattanti sull’equilibrio e sull’economia della realtà aziendale.
In primis, un lavoratore privo di impiego irregolare è un lavoratore a cui non viene predisposto (e consegnato) il LUL: in base alle previsioni dell’articolo 22, commi 5-7, D.Lgs. 151/2015, tale inadempimento è sanzionato con una sanzione amministrativa da 150 a 7.200 euro, senza, tuttavia, conseguenze di natura penale.
Nello specifico, l’articolo 22, comma 5, in commento prevede che “Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1, 2 e 3 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore a sei mesi la sanzione va da 500 a 3.000 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da 1.000 a 6.000 euro. Ai fini del primo periodo, la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è la Direzione territoriale del lavoro territorialmente competente”.
Il successivo comma 7, invece, stabilisce che “Salvo che il fatto costituisca reato, in caso di mancata o ritardata consegna al lavoratore del prospetto di paga, o di omissione o inesattezza nelle registrazioni apposte su detto prospetto paga, si applica al datore di lavoro la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 900 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore a sei mesi la sanzione va da 600 a 3.600 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da 1.200 a 7.200 euro. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro adempia agli obblighi di cui agli articoli precedenti attraverso la consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro, non si applicano le sanzioni di cui al presente articolo ed il datore di lavoro è sanzionabile esclusivamente ai sensi dell’articolo 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni”.
Sanzioni indirette: lavoro nero e pagamento delle retribuzioni in contanti
Strettamente connesso alla mancata predisposizione del LUL, rileva come l’occupazione irregolare di un lavoratore comporti la necessità di erogare le retribuzioni mediante pagamento in contanti o comunque in modalità non tracciata.
Sul tema è intervenuta la Legge di Bilancio 2018, secondo cui “A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:
a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
b) strumenti di pagamento elettronico;
c) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.
911. I datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.
912. Per rapporto di lavoro, ai fini del comma 910, si intende ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del Codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142. La firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione”.
In tema di sanzioni, l’articolo 1, comma 913, L. 205/2017, prevede una sanzione da a 1.000 a 5.000 euro, a cui non corrispondono ulteriori responsabilità di natura penale.
Nello specifico, la norma prevede che “Le disposizioni di cui ai commi 910 e 911 non si applicano ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a quelli di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339, né a quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Al datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di cui al comma 910 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro”.
Sanzioni indirette: lavoro nero e tutela della salute e della sicurezza del lavoratore
L’assunzione di un lavoratore subordinato (che, ricordiamo, è l’unica forma contrattuale per cui è prevista l’applicazione della maxi sanzione) comporta un insieme di adempimenti obbligatori in materia di salute e sicurezza, che possiamo sintetizzare nel seguente elenco: visita medica preventiva ex articolo 41, D.Lgs. 81/2008, qualora la mansione a cui è adibito il lavoratore sia soggetta a sorveglianza sanitaria; informazione e informazione, ex articoli 36 e 37, D.Lgs. 81/2008, e, qualora l’attività lo preveda, addestramento, ex articolo 73, D.Lgs. 81/2008, consegna dei dispositivi di protezione individuale, nel caso in cui la mansione svolta ne renda necessario l’utilizzo.
L’occupazione irregolare del lavoratore comporta la mancanza (quantomeno formale, ma nella maggior parte dei casi anche sostanziale) degli adempimenti sopra elencati, da cui deriva l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 55, D.Lgs. 81/2008.
Dall’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 55 di cui sopra deriva una responsabilità di natura anche penale in capo al datore di lavoro, che rileva per ognuno degli inadempimenti interessati, per cui si propone il seguente schema:
Tipologia di inadempimento | Riferimento normativo | Importo della sanzione |
Mancata visita medica preventiva al lavoratore | Articolo 55, D.Lgs. 81/2008 | Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 750 a 4.000 euro |
Mancata informazione, formazione e addestramento | Articolo 55, D.Lgs. 81/2008 | Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.709,49 a 7.407,80 euro |
Mancata consegna dei dispositivi di protezione individuale | Articolo 55, D.Lgs. 81/2008 | Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda 2.136,86 a 8.547,46 euro |
Se si tratta del primo lavoratore occupato, mancata redazione del documento di valutazione dei rischi | Articolo 55, D.Lgs. 81/2008 | Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 3.561,44 a 9.117,29 euro |
Se si tratta del primo lavoratore occupato, mancata nomina dei soggetti della sicurezza | Articolo 55, D.Lgs. 81/2008 | Variabile, in base al numero di soggetti da nominare |
Non solo sanzioni: il versamento dei contributi e la corresponsione delle retribuzioni
La retribuzione in contanti del lavoratore occupato irregolarmente comporta che lo stesso non potrà vantare il riconoscimento di contributi per il periodo interessato dal lavoro sommerso.
A tal proposito, giova ricordare che, in tema di mancato versamento di contributi previdenziali e contributi assistenziali (a carico del datore di lavoro e del lavoratore), è intervenuto anche il Decreto Lavoro, D.L. 48/2023, che all’articolo 23 ha disposto che “le sanzioni per omesso versamento dei contributi da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso versamento delle ritenute previdenziali”.
Inoltre, lo stesso D.L. 19/2024, all’articolo 30, comma 1, ha previsto che “In caso di evasione connessa a registrazioni, o denunce o dichiarazioni obbligatorie omesse o non conformi al vero, poste in essere (da chiunque) cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi mediante l’occultamento di rapporti di lavoro in essere, ovvero le retribuzioni erogate o redditi prodotti, (quindi anche autonomi) ovvero di fatti o notizie rilevanti per la determinazione dell’obbligo contributivo, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento, fermo restando che la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”.
Conclusioni finali
L’analisi congiunta di tutti gli aspetti sanzionatori collegati direttamente o indirettamente al lavoro sommerso riflette l’onerosità del lavoro nero, sia dal punto di vista delle sanzioni, sia della responsabilità in capo al datore di lavoro.
Giova, tuttavia, ricordare che la maxisanzione per lavoro nero non trova sempre applicazione, nel rispetto di quanto precisato dall’INL mediante la pubblicazione del vademecum del 19 aprile 2022; così come non trova applicazione nei casi in cui venga promossa conciliazione monocratica: da ciò ne deriva che alcune delle condizioni descritte nei paragrafi precedenti non trovano applicazione incondizionatamente, ma in alcune situazioni potrebbero non produrre effetti.
Tuttavia, a conclusione della presente analisi, rileva come le novità apportate dal D.Lgs. 19/2024 confermano fortemente che il lavoro sommerso non vanta alcun aspetto di convenienza, oltre a non presentare alcun aspetto di necessità, che ne possa in qualche modo giustificare il ricorso.
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